Il nostro intestino ospita una complessa comunità di oltre 100 trilioni di cellule microbiche che influenzano la fisiologia umana, il metabolismo, lo stato nutrizionale e la funzione immunitaria.
Alterazioni
della microflora intestinale sono collegate tra l’altro ad infiammazioni,
obesità e cancro. Il tipo di microrganismi presenti è variabile, e se in parte
deriva da caratteristiche specifiche dell’individuo, dall’ altro è influenzata
da tutta una serie di comportamenti adottati dall’ individuo stesso nel corso
della sua vita.
La microflora intestinale contribuisce all’ insorgenza di molte malattie,
che riguardano l’ intero organismo.
Dunque, un equilibrio della flora batterica dell’ intestino, così come anche la
presenza o assenza di specie microbiche fondamentali per prevenire disturbi più
o meno gravi, è importante nel garantire l’ omeostasi ed anche un’ adeguata
risposta immunitaria.
Sono stati condotti molti studi a riguardo, su gruppi di soggetti scelti in base alla fascia di età o ad una determinata patologia, e sottoposti a diete con l’ obiettivo di regolare l’espressione della flora intestinale.
Importanza dell’ habitat del nostro intestino
Alla luce di numerosi studi presenti nella letteratura scientifica, si evince che la microflora ha un profondo effetto sul sistema immunitario e può influenzare anche le malattie autoimmuni. A parte i fattori genetici, anche i fattori ambientali svolgono un ruolo importante nella formazione della flora batterica. Pratiche inappropriate quali l’ abuso di antibiotici sono devastanti.
Si è visto che
anche la variazione di una sola specie batterica nell’intestino può avere un
impatto drastico sull’ immunità.
Molte malattie non contagiose sono dovute a queste variazioni. Negli ultimi
decenni c’è stato un grande aumento di allergie alimentari Ig E-mediate,
soprattutto tra neonati e bambini piccoli. Uno dei fattori responsabili è il
cambiamento nella composizione della microflora durante la prima infanzia. L’
aumento di allergie alimentari è stato documentato, tra l’altro, nel Regno Unito,
negli USA e nelle aree sviluppate dell’ Asia. In particolare queste allergie,
tra il 1990 e il 2000 sono triplicate nei bambini al di sotto dei 5 anni.
Le allergie sono
prevalenti nelle moderne comunità urbane, legate al moderno stile di vita e
all’ambiente. La colonizzazione dei batteri nell’intestino avviene dalla
nascita e si stabilizza nei primissimi anni di vita. L’influenza del genotipo è
stata dimostrata attraverso studi fino a 10 anni: sono stati confrontati
fratelli, gemelli e bambini non imparentati.
L’influenza del genotipo sulla microflora dell’adulto, invece, non è
stata evidenziata.
Flora batterica ed eczema sono collegati
La relazione tra flora intestinale ed eczema è stata ampiamente studiata. Wanget al. hanno dimostrato che bambini di una settimana di vita con microflora poco sviluppata, hanno manifestato eczema a 18 mesi di vita.
In questo senso,
molto dipende già dalla nascita (parto naturale o cesareo). I bambini che
nascono con parto naturale hanno da subito una colonizzazione migliore, ma
negli ultimi anni c’è stata una prevalenza di nascite con taglio cesareo, ed
anche questo spiega l’aumento di allergie.
Alcune specie microbiche iniziano poi ad entrare nell’ intestino con
l’introduzione nella dieta, di pasti solidi ( verso 6 mesi di età), fino a che,
a 2 anni, il bambino presenta una composizione intestinale simile a quella
dell’adulto, ma ancora in via di sviluppo.
Il bambino nato da parto cesareo, già alla nascita può avere la presenza di E.Coli. Uno studio finlandese del 2009 ha mostrato che l’intestino dei bambini nati con cesareo ha una flora batterica alterata, e questa situazione può durare anche diversi anni.
Uno studio
presentato presso l’ American Academy of Allergy and Asthma Immunology ha
riferito che i bambini nati da cesareo avevano più probabilità di essere
sensibili a latte, uova e arachidi. In Europa diversi studi hanno sottolineato
un forte legame tra parto cesareo e allergia al latte vaccino nel bambino.
Nei bambini nati prima delle 33 settimane di gestazione, all’inizio predomina
Staphylococcus ed Enterobacteriae.
Un altro fattore che determina uno sviluppo migliore della flora intestinale è
l’allattamento al seno. I bambini allattati al seno hanno presentato in
numerosi studi una microflora più sana, tipo Bifidobacterium, e minore presenza
di Clostridi. Resta il fatto che all’allattamento al seno è stato associata
funzione protettiva dalle allergie e dalla dermatite atopica.
La dieta dunque è uno dei fattori più importanti che influenzano la diversità
della microflora intestinale, anche nell’adulto. Può dunque essere rilevante
seguire certe terapie dietetiche. Nelle persone celiache, in cui si ha una
risposta immunitaria anomala alle proteine del glutine dei cereali, l’unica
terapia è una dieta priva di glutine.
Ci si è chiesto spesso se una dieta priva di glutine possa modificare la
microflora intestinale e di conseguenza le difese immunitarie.
Diversi gli studi a riguardo. In particolare, uno studio è stato condotto su 10
soggetti sani, sottoposti per oltre 1 mese ad una dieta priva di glutine, per
studiarne gli effetti a breve termine. Le analisi hanno evidenziato che il
numero di batteri buoni è diminuito, mentre quello dei batteri patogeni è
aumentato in concomitanza alla dieta priva di cereali contenenti glutine.
Questo ha avuto effetti negativi anche sul sistema immunitario, che è risultato
meno efficiente di quello dei soggetti che seguono una dieta contenente tutti i
tipi di cereali.
Ma che relazione c’è tra dieta senza glutine e flora intestinale?
Abbiamo già
detto dello stretto legame che esiste tra flora batterica e
alimentazione.La celiachia è una malattia comparsa in seguito
allo sviluppo dell’ agricoltura e della lavorazione dei cereali. E’ vero che la
terapia di una dieta priva di cereali porta alla scomparsa dei sintomi, ma nei
celiaci si evidenziano carenze nutrizionali e complicazioni di salute.
In particolare, nello studio effettuato su pazienti sani, si è riscontrata una
diminuzione di Bifidobacterium, B.Longum e Lattobacillus, mentre in contemporanea
alla riduzione di carboidrati da 117 g al giorno a 63 g al giorno, è emerso un
aumento di E.Coli ed enterobatteri patogeni.
Questo suggerisce come una dieta molto povera di carboidrati complessi possa
far aumentare il rischio di infezioni, dovute allo sviluppo di batteri
patogeni, alterando anche i ceppi buoni e compromettendo il sistema immunitario
Questo si spiega col fatto che, venendo a mancare i carboidrati complessi, i
batteri buoni che si nutrono di alcune sostanze (quali fibra, vitamine ecc.) contenute
in essi, non hanno più di che nutrirsi. Questo studio è stato solo una verifica
di quello che è sempre stato riscontrato in precedenza in pazienti che
seguivano una dieta priva di glutine a lungo termine, in cui si è evidenziata
una maggiore suscettibilità alla crescita di batteri dannosi, di infezioni e
allergie, associati a maggiori rischi per la salute.
E’ dimostrato che una buona percentuale di pazienti celiaci soffre di sintomi
persistenti, nonostante l’eliminazione del glutine dalla dieta, e questo
proprio perché come conseguenza si altera la microflora intestinale, con
conseguenti malattie autoimmuni e una prevalenza di disbiosiintestinale nei
pazienti analizzati, che vede un aumento di patologie gravi del colon quali
diverticoli, polipi, tumori, rettocoliteulcerosa ecc. Molte delle proteine
ingerire inoltre, con la microflora alterata, modificano i loro amminoacidi in
sostanze che sono potenti vasocostrittori
Dunque sono vari i danni che derivano da una dieta senza glutine.
E’ stato svolto, alla luce di questa evidenza, anche uno studio su soggetti in
età pediatrica, per vedere in particolare di ovviare alle conseguenze di una
dieta priva di glutine. Gli alimenti privi di glutine sono più squilibrati
nutrizionalmente. Si è visto ad es., che il pane glutenfree ha un contenuto più
alto di amido e un maggior indice glicemico (stimato tra 83,3 e 96,1, contro 71
del pane bianco fatto con farina di grano) e un più basso contenuto di
proteine.
Per quanto riguarda il tipo di grassi presenti, si è visto che i biscotti senza
glutine sono più ricchi di grassi saturi rispetto agli equivalenti biscotti con
glutine (Caponioet al). Tutte queste caratteristiche hanno effetti negativi
sulla salute. Inoltre è stato dimostrato che alcuni prodotti senza glutine presenti
in commercio hanno minore contenuto di folati, ferro e vitamine del gruppo B
(Thompson ha analizzato folati, ferro, tiamina, riboflavina, niacina).
Rispetto ad una dieta contenente glutine, anche l’apporto di fibre è inferiore
(ciò dovuto per lo più alla raffinazione del grano, che rimuove la maggior
parte di fibra) Mariani et al., hanno studiato le abitudini alimentari di 47
adolescenti (10-20 anni, celiaci), e Hopman et al., in uno studio su 37
adolescenti (13-16 anni, celiaci), hanno dimostrato delle effettive carenze
nutrizionali nella dieta gluten free, e un maggior apporto di grassi saturi,
nettamente superiore a quello consigliato da RDA americani e olandesi. Inoltre
nei 2 gruppi, l’assunzione di fibre e ferro era inferiore al gruppo controllo.
E ancora, Ohlund et al., hanno condotto nel 2010 uno studio su 30
bambini, così come Zuccotti et al.-
Gli studi hanno evidenziato anche carenze di vitamina D e un eccesso di zuccheri semplici, grassi e proteine. Inoltre, l’incidenza di bambini sovrappeso/ obesi è stata maggiore (51%) rispetto al gruppo controllo di pari età (47%).
Buona fonte di fibre e vitamine
Gli
pseudocereali quali amaranto, quinoa e grano saraceno rappresentano una sana
alternativa per chi utilizza prodotti senza glutine. Sono infatti una buona
fonte di carboidrati, proteine, fibre, vitamine e acidi grassi polinsaturi. Il
contenuto di fibre di questi grani varia da 7 a 10 g/100 g, che è superiore
rispetto a quelli di altri alimenti vegetali e quasi la stessa del frumento
(9,5 g/100 g).
Inoltre sono una buona fonte di proteine, superiore a quella del grano in
termini di qualità e quantità.
Il contenuto
lipidico però è superiore, per fortuna caratterizzato soprattutto da acidi
grassi polinsaturi (alfa-linolenico in particolare), utile per la prevenzione
delle malattie cardiovascolari. Inoltre, le concentrazioni dell’acido folico in
quinoa(78,1mg/100g) a amaranto (40 mg/100g) sono nettamente superiori; sono
inoltre buona fonte di riboflavina, vit. C, vit. E.
Dunque la dieta senza glutine può portare a delle carenze nutrizionali. Per non
incorrere in tale problema, bisogna fare scelte mirate e consapevoli.
Carboidrati si o no?
Abbiamo visto
che una dieta a basso contenuto di carboidrati non è consigliabile, anche se
negli ultimi anni ha riscosso molto successo per lo più per la perdita di peso,
vedendo il loro utilizzo da parte di personaggi famosi, all’interno di centri
sportivi e benessere. Tale promozione ha portato a pensare che i carboidrati
fossero cattivi e da limitare. Anche se le diete a basso contenuto di
carboidrati erano popolari nel 1970, i risultati dimostrano che tali diete non
hanno nessun vantaggio significativo rispetto alla dieta ipocalorica
nutrizionalmente bilanciata, sia in termini di perdita di peso che di
mantenimento.
Mentre limitare i carboidrati a breve termine (per 1 settimana circa) può
comportare una significativa perdita di peso (dovuta principalmente a perdita
di glicogeno ed acqua), riscuote seria preoccupazione ciò che possa comportare
questo piano alimentare a lungo termine, tipo mesi o anni. Togliere carboidrati
a lungo termine può comportare complicazioni quali aritmie cardiache,
insufficienza cardiaca e morte improvvisa, osteoporosi, danni renali, aumenti
del rischio di cancro.
A tal proposito, uno studio svolto su 62.582 uomini e donne fino a 18 anni al
nord della Svezia, ha evidenziato che le persone che si ammalavano meno avevano
nella loro dieta un quantitativo di carboidrati che variava tra il 38,9% ed il
60,9% dell’energia totale. Eliminare i carboidrati vuol dire un aumento di
proteine e grassi inevitabile, il che non è salutare.
In 15 anni sono state valutate oltre 43000 donne svedesi. Di queste, 1270
avevano subito un evento cardiovascolare. Coloro che mangiano pochi carboidrati
e più proteine sono più a rischio di malattie cardiovascolari rispetto a chi
non segue tale regime alimentare. E’stato osservato che se si diminuisce
l’assunzione di carboidrati a 20 g al giorno e si aumenta l’assunzione di
proteine di 5 g al giorno, il rischio di malattie cardiovascolari aumenta del
5%. Le conseguenze sono aumento dei grassi nel sangue, con conseguenze quali
ictus, malattie cardiovascolari ecc.
Elevato apporto di proteine, si è visto, comporta anche grandi quantità di
calcio nelle urine e perdita di massa ossea
Inoltre, i chili persi col tempo verranno recuperati in parte nel corso del
tempo.
Ma cosa accade effettivamente con una dieta povera di carboidrati?
Durante
l’assunzione di un basso contenuto di carboidrati, la produzione di corpi
chetonici genera uno stato fisiologico innocuo, detto “chetosi”. I corpi
chetonici vanno dal fegato che li produce ai tessuti extra epatici (cervello ad
esempio) per essere utilizzati come combustibile alternativo al glucosio. Una
tale dieta pone le basi per una significativa perdita, oltre al grasso, anche
di tessuto magro, perché il corpo prende amminoacidi dal muscolo per mantenere
stabile la glicemia, attraverso la gluconeogenesi. I corpi chetonici sono un
combustibile importante.
I cambiamenti ormonali associati ad una dieta povera di carboidrati includono
diminuzione dei livelli circolanti di insulina e aumento di glucagone. Il
fegato non può utilizzare i corpi chetonici, perché gli manca l’enzima
necessario. Sono necessari in media 1,6 g di amminoacidi per sintetizzare 1 g di
glucosio. Pertanto, per mantenere il giusto livello di glucosio necessario al
cervello (110/120 g/die) sono necessari 160/200 g di proteine, e se non si
trovano in circolo, vengono sottratte ai muscoli. I diabetici sanno che il
rilevamento nelle urine dei corpi chetonici è un segnale di pericolo. Infatti
nel diabete non controllato i corpi chetonici prodotti in abbondanza sono
associati a chetoacidosi.
Si schiaccia il sistema acido-base del corpo ed è una situazione pericolosa per
la vita. Tuttavia, durante la bassa assunzione di carboidrati si crea uno stato
fisiologico detto chetosi, che vede il pH del sangue tamponato entro limiti
normali. I corpi chetonici hanno effetto sulla secrezione di insulina e
glucagone
Un effetto di chetosi lieve può avere effetti terapeutici in caso di:
-insulino-resistenza;
-malattie derivanti dai danni dei radicali liberi
-malattia risultante da ipossia.
Riduzione dei carboidrati ai fini terapeutici
Un numero
crescente di dati dimostra l’utilità della dieta chetogenica in
una varietà di malattie metaboliche come l’ obesità, la sindrome metabolica o
il diabete tipo I. Per quanto riguarda i disturbi neurologici,, la dieta
chetogenica è riconosciuta come un trattamento efficace per epilessia,
Alzheimer, morbo di Parkinson (anche se queste malattie hanno diverse
caratteristiche, alcuni meccanismi sono comuni).
Dopo alcuni giorni di digiuno o una drastica riduzione dei carboidrati dalla
dieta (al di sotto di 20 g/die), le riserve di glucosio diventano insufficienti
sia per la normale ossidazione dei grassi, sia per la fornitura di glucosio al
Sistema Nervoso Centrale (SNC).
Dopo 3 o 4
giorni senza carboidrati, il SNC deve trovare fonti energetiche alternative
(Feliget al.). Le ricava attraverso la chetogenesi, che si verifica soprattutto
nel fegato. Una sovrapproduzione di corpi chetonici diventa faticoso per il
fegato, ma fa male anche ai reni che devono eliminare i prodotti di scarto
delle proteine. Ma scenderemo nei dettagli in un secondo momento.
Dott.ssa Maria Esaminato
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